La parola al popolo (che non ce l’ha)

Pubblicato su Symmachia il 20/11/2017

Non pensiate che le campagne elettorali italiche incarnino solo momenti lubrici. Le loro tortuose dinamiche possono disvelare anche auliche parentesi di consapevolezza democratica ed esaltazione delle virtù popolari. Ove abbiate infatti ben udito, i messaggeri in pectore del centro destra hanno precisato, in occasione delle elezioni siciliane, che sarebbe stato proprio il popolo, in virtù del suo noto codice genetico repubblicano (da un pezzo non più disponibile perché posto a garanzia del nostro debito pubblico in un segreto caveau assieme a quello degli ultracentenari dell’Ogliastra), a censurare nel segreto dell’urna gli ”impresentabili”, rimediando così a quella che deve essere stata una spiacevole distrazione. Oh, perbacco! In fondo a chi non è mai capitato di trovarsi a cena, a sua insaputa, con un boss di cosa nostra?

Come, prego? Qual è allora il ruolo dei partiti visto che dovrebbero proprio selezionare i candidati? Semplice: quello di presentare gli impresentabili, per l’appunto. D’altronde “preferenza non olet”; anche se il risultato politico può essere fetido.

I paladini della dignità popolare paiono proprio ignorare il mesto ammonimento di Einaudi (chi fu costui?), per il quale i cittadini possono facilmente mandare in Parlamento uomini incapaci o corrotti. Sembra proprio che non corriamo più il rischio di ritrovarci governati da inetti e lestofanti (d’altronde quand’è mai avvenuto?) perché il popolo, dall’alto della sua sovranità e nel suo particolare stato di (dis)grazia, saprà certamente discernere il bene dal male. Stavolta, non più Barabba ma Gesù! L’unto dal Signore l’ha sempre saputo. Ed è per ciò che chi gode dell’investitura popolare non può incontrare ostacoli di sorta. Come ci ha spiegato Rousseau (dal cui pensiero attingono, con ampia licenza “profetica”, i neopopulisti), il popolo è libero solo nell’attimo del voto, dopo torna subito schiavo dei suoi stessi eletti. Si capisce che l’ultimo pezzo dell’art. 1 della Costituzione (… che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione) non può che essere un antipatico refuso del processo costituente. E chi pensa di ravvisarvi, invece, l’essenza dello spirito repubblicano è meglio che si faccia vedere da uno bravo.

L’antico discorso sull’activae civitatis è stato perentoriamente rievocato da Tullio De Mauro nel 2004: “… basta dire che si svolgono libere elezioni per essere certi che questo sia un paese democratico? Ma come la mettiamo se questo sistema è esercitato in condizioni di analfabetismo diffuso, di diffusa incapacità di valutare i programmi?”. E’ noto (a chi?) il drammatico dato Ocse sugli analfabeti funzionali del nostro paese. Ben sette italiani su dieci hanno gravi difficoltà nella comprensione dei testi. Cinque milioni di persone non riescono proprio a leggere. Si capisce come quelle degli italiani siano, mediamente, opinioni preconfezionate o concetti grezzi presi in prestito da  maître à penser de’ noantri.

A tale desolante scenario va aggiunta la nostra secolare debolezza morale che consente il perpetuarsi del refrain autoassolutorio “così fan tutti”, e che porta a considerare il consenso popolare come un lavacro utile, persino, a compensare gli effetti di qualche condanna penale definitiva. Se poi il soggetto è anche scaltro e capace di raccontare barzellette surreali può ben ambire alla beatificazione in vita.

E’ evidente quanto questo monolite immaginifico, chiamato Popolo, sia incapace di scorgere quel bene che si ostina a voler ricercare, perché obnubilato da una complessità che il mondo non ha mai conosciuto, oltre che da una indegna mistificazione della realtà. Se a ciò sommiamo i nostri gap strutturali e la pressione migratoria cui siamo esposti, è facile capire come l’Italia si possa considerare il candidato ideale per ospitare la tempesta perfetta del populismo.

La tempesta, in effetti, ha generato non uno ma ben tre populismi, facendo di quello italiano un vero e proprio caso scolastico. Il telepopulismo berlusconiano ante litteram, per imbonitori d’annata, e a completamento della ricca offerta nostrana, il grillismo con la sua web “criptocracy” (non che gli altri scherzino; l’attuazione dell’art. 49 della Costituzione continua a restare una chimera), e il renzismo rottamatore di élite stantie. Senza contare il “parlare alla pancia” degli italiani di Salvini (in onore del quale non è stato ancora coniato il relativo eponimo, forse perché cacofonico) che con un linguaggio rozzo, primordiale, è in grado di evocare efficacemente scenari esiziali. Dall’Europa matrigna all’invasione dello straniero. Perché se qualcuno ha difficoltà a dar voce alle sue emozioni, visto che gli mancano persino le parole per dare un nome ai propri sentimenti, è chiaro che devi rivolgerti alla sua “pancia”, dove ristagnano gli istinti più malsani.

Se queste sono le condizioni strutturali, per quanto tempo ancora il “mercato” italiano della democrazia, fatto di una domanda sempre più disattesa dall’offerta politica e tempestato di “asimmetrie conoscitive”, potrà funzionare e reggersi solo sul rito messianico e purificatore delle elezioni quando, peraltro, il partito più rappresentativo è quello del non voto? Anche se la risposta può non essere scontata (in fondo, per i partiti meno elettori significano meno bocche da sfamare), questo stato di cose rappresenta di certo il peggio dell’ideale democratico, e i rimedi paventati sono peggiori dei mali che si vogliono curare.

Allora, come usciamo da questa lunga e fredda notte populista? In assenza di poteri divinatori, non ci resta che auspicare un cambio di rotta da parte di chi è impegnato nell’infimo tentativo di trasformare gli italiani in un popolo d’imbarbariti sociali pronti a tutto, anche a un insano e caustico bagno di oclocrazia. Che i partiti (o quel che di loro rimane, per voce della parte più degna delle loro classi dirigenti) e le istituzioni tutte si facciano carico della, oramai prescritta, funzione pedagogico-politica, e si tramutino in portatori sani del “disagio del pensiero” restituendo ai cittadini la dignità civile perduta. Il perpetuarsi dell’effimero scontro politico di superfice retto dall’antico inganno di irretire il popolo continuando a dirgli che è onnipotente, e che l’Europa e i famelici mercati attentano alla sua sovranità, non potrà che condurre al baratro. E’ già avvenuto nell’estate del 2011!